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È possibile creare senza essere creativi? Secondo Kenneth Goldsmith sì, e anche secondo un discreto gruppo di poeti e scrittori contemporanei. Attivi principalmente tra Canada, Stati Uniti e Gran Bretagna, essi producono un tipo di letteratura basata sull’appropriazione, sul riuso e sulla ricontestualizzazione di materiali già esistenti, e sulla produzione di opere la cui ragion d’essere risiede nel concetto che ne ha mosso la realizzazione piuttosto che nel loro aspetto formale o contenutistico.
Il ricco e argomentato saggio consiste in un’analisi delle strategie dell’appropriazione e del riuso specificamente nell’opera di Kenneth Goldsmith – artista e poeta concettuale statunitense, nominato nel 2013 primo poeta laureato al MoMa di New York, la cui attività poetica rispecchia una profonda assimilazione delle tradizioni d’avanguardia sia in arte che in letteratura (in particolare di quella dada, futurista, e della poesia concreta), della cultura pop di Andy Warhol e di quella digitale odierna, in una chiave prevalentemente genealogica, con esempi di comparazione con altri esiti della conceptual writing angloamericana contemporanea.
Si tratta della prima monografia critica dedicata a Goldsmith, risultando di possibile interesse in più ambiti scientifici e anche per alcuni dibattiti culturali non prettamente accademici che si sono recentemente sviluppati in Italia intorno al concetto di “scrittura non creativa”.
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