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Elba isola di poeti e narratori di Alessandra Palombo domenica 15 settembre 2013
La rosa dei venti di Cesare Giacomo Toso
La rosa dei venti è l’ultima raccolta di poesia di Cesare Giacomo Toso che ha già pubblicato con la stessa casa editrice Florence Art Edizioni, Alter Ego. Versi liberi o neoromantici nel 1998 e Giorno dopo giorno nel 2001. Toso ha ottenuto numerosi riconoscimenti, tra i quali ci limitiamo a ricordare il primo premio al Città d’Este nel 2005, il primo premio al Bartolomeo Sestini di Capoliveri nel 2005 e nel 2006, Il fiorino d’oro per la poesia inedita al Premio Firenze nel 2006, la selezione d’onore al Premio Firenze per la poesia inedita nel 2007, la selezione al Premio Internazionale Mario Luzi nel 2012.
La sua terza raccolta La rosa dei venti si apre con la poesia Se mai tornassi dove con tono quasi sussurrato e pochi versi delicati il Poeta dipinge il suo sogno:
Se mai tornassi/ a seguir la raganella/e contare i girini/dentro al fosso,/vedere il limo/incunearsi nel dosso/dove la vita/ torni a spargere sostanza/ e non limiti/ i colori all’evasione.// Illumini la finestra/ a sera, / dove l’impossibile/ preceda questo giorno.
Una poesia introspettiva, una poesia dell’anima alla continua ricerca di un mondo, di una felicità terrena perduta, ma tuttavia sempre inseguita e immaginata fuori dal presente, spostata altrove. L’altrove diventa così il punto focale verso cui l’uomo si sente attratto come le folene dalla luce delle lanterne e dove egli si illude si trovi il suo Eden. E’ una poesia legata alle emozioni del ricordo, alle sensazioni che restano fotografate nelle memoria ed oggi riproposte sul piano espressivo della liricità. Nel testo iniziale troviamo accennati i maggiori temi cantati dall’autore nella sua raccolta: la natura da lui spesso descritta con toni lievi, sfumati, quasi a dipingere un quadro impressionista, la malinconia per ciò che è passato, la riflessione sulla vita umana.
Descrizione della natura e riflessione si fondono nella seconda poesia Al bosco: la merla , poco prima dell’inverno, vola attorno al capanno dove arde la legna, si divide il pane e il taglialegna/ come la merla/ si contenta/ e campa/ e la natura e la grande capacità di descrivere con versi musicali e chiari sono i protagonisti di Quando è novembre che ci presenta un quadro di un lago dove il panorama e l’aria malinconie rinnova.
La malinconia che traspare nei versi di Toso, è una malinconia che possiamo definire delicata, mai tagliente, mai arrabbiata e anche quando l’autore rivolge al Signore una preghiera bastano poche righe per sintetizzare la sua esistenza e quella dell’umanità: Come luce vieni/col tuo nitore/ e dal dolore presente/ ci consoli.
Il mare, elemento centrale della natura e nella vita dell’autore cresciuto affacciato sul mare, ricorre in più di una poesia e non poteva essere altrimenti. Toso il mare lo conosce bene e lo canta con musicalità.
Mare che può essere aspro/ e struggente/ come il tempo/ che precede come quello che solcò assieme alla madre che volava con ali pesanti quando lasciarono l’Elba per trasferirsi a Firenze dove Toso riprese gli studi universitari dopo la perdita della vista in seguito ad un incidente stradale:
Adonai
Fu quel giorno,
nella scia
di un mare aspro
e struggente,
come il tempo
che precede.
Sì, eravamo diversi
siamo quelli naufragati
al di qua
sul continente,
fra gli alberi
fatti ostacoli,
irte palafitte;
ignari,
sconosciuti pensieri.
Così cominciò
un altro giorno.
Perla, con me
mi guardava
con i suoi occhi
fatti brace.
Volava con ali pesanti
di colomba ferita
come spesso spirito
di forza
e solitudine.
Io, condottiero vinto
volsi lo sguardo
indugioso, perso,
su di lei
e la seguii.
Tutto taceva,
in quel grigio
fresco mattino.
Lei che d'inverno
amava il silenzio
quando il mare
senza nubi
è infinito,
era felice
nella pace
del suo cuore.
Ora, la stagione
del bello
è rimasta
al di là
sulle ferrigne, brunite
scogliere.
Si apriva
il nostro mare
ci lasciava andare
verso un'altra Sion;
allora si compì
l'ultima estate
e tutto si rifaceva
attesa e vita nuova.
Ma, non sentimmo
più né odore di mare,
né il vento.
Quel mare che i pescatori si portano dentro quando tornano a casa stanche e delusi in Porto Pidocchio, il mare che si vede dal suo balcone, che sbatte la sua schiuma in Capo Bianco , un bellissimo testo dedicato alla sua spiaggia, al suo amato sport, alla sua giovinezza ricordata quando i capelli più non sono come l’oro.
Capo Bianco è, tra l’altro, la poesia con cui l’autore ha vinto il XXIV Premio di Firenze per la poesia inedita nel 2007 con questa motivazione:
Con tratti rapidi e sapienti il poeta descrive un’estate elbana lontana nel tempo, interpretando con originalità la voce e i colori dell’isola amata, come metafora del proprio profondo sentire: così l’esistenza stessa intera si snoda attraverso il filtro dei ricordi in versi di intensa forza lirica. Di volta in volta i sentimenti si identificano con la voce del mare, con i colori vividi della natura, con il trascolorare dell’oro dei capelli; il tutto reso con pennellate vibranti “rubate” alla pittura impressionista.
Capo Bianco
Qui, seguivo
da ragazzo il sole
che all'orizzonte
lentamente declinava.
Mi pareva
imbalsamata aurora.
Allora, i miei
capelli erano
come l'oro.
A picco,
la bianca scogliera
sbatteva schiume,
dove alla risacca
il nero granchio
faceva capolino,
il territorio vinto
a dominare.
A Villa Tesei
le cotogne
ormai ingiallite
cadevano
come fichi settembrini.
Le balze
a vigna rossa,
vermigli grappoli
offriva ondeggianti
alla ventosa
elbana estate.
Poi, il viottolo
là che muove
al campo
dove di tennis
piena era
la mia vita.
Intanto,
la piccola cala
di Padulella,
dal tramonto
ombreggiata,
copriva
piante grasse
rampicanti a salire,
aperti fiori
dai toni cardinali
come stelle
marine al sole.
Qui, sono tornato
come gabbiano
fermo alla marina,
ma, i miei capelli
più non sono come l'oro.
Nei versi di Cesare Toso il mare s’intreccia con l’amore come nei versi iniziali e finali di Composizione breve: il mare in trasparenza/ di nuovo appare… le tue piccole mani/lievi, magiche, come l’Irlanda/ il cielo,/ Lucia.
E l’amore è, infatti, un altro grande tema trattato nelle poesie del libro La rosa dei venti. Il titolo, non a caso, prende il nome dal primo verso della poesia a Lucia G., ma anche altri testi parlano d’amore, l’ amore verso la madre Marta, la nonna, le donne tutte come nella poesia intitolata appunto Le Donne che si apre con un’invocazione di Giovanni Paolo II nella “ lettera alle donne” “ Vegli Maria,/ Regina dell’Amore/ sulle donne/ L’ amore , come ben scrive scrive Vera Franci Riggio nella prefazione in una prospettiva modernamente stilnovistica, veduto e vissuto, come sublimazione ( non negazione) dell’istinto e proiettato in una dimensione di luce, di canto, di consolazione. Lucia, la sua donna, è infatti luce gentile, stella che al pari dell’astro mattutino accompagna /il giorno/ chiara radiosa/ come Venere fanciulla”.
Lessi le prime poesie di Cesare Toso nel 2001 e già mi colpì la naturalezza dei suoi versi che riescono a rievocare un momento, sia descrittivo che introspettivo, con pochi tratti.
In La Rosa dei Venti ho trovato un Toso più maturo e ancor più raffinato nella scrittura, un poeta che oltre a riprodurre quadri nitidi e colorati ci regala poesie che trasmettono serenità per il continuo interagire della natura con i sentimenti umani e che in fondo sono una lezione di vita per chi legge perché ciò che scrive l’autore rispecchia le emozioni e i turbamenti degli stessi lettori.