Oggi le cave, testimoni mute di un mondo scomparso, non solo possono configurarsi come la memoria storica di un’attività che in passato ebbe un ruolo molto significativo nell’economia del territorio e contribuì a dare un’identità, oltre che notorietà, alla sua gente, ma trasformati in civili abitazioni i vecchi opifici come il mulino degli Scopeti e quello del Mulino del Diavolo, demolito l’edificio della filanda con la caratteristica copertura a shed all’inizio della via per l’Impruneta e ridotta a meno della metà, perché pericolante, la ciminiera della tintoria Pastacaldi in via dei Baruffi, costituiscono, insieme a quel poco ancora riconoscibile della stazione della tranvia del Chianti, l’ultima testimonianza di archeologia industriale presente sul territorio.
Urbano Meucci racconta la storia di quegli uomini e delle loro famiglie che dalle cave trassero sostentamento: un mestiere, quello dello scalpellino, documentato già alla fine del ‘400 e che si consolidò significativamente nel corso dei secoli e di cui ancora oggi è possibile apprezzare pregevoli manufatti.