La tutela del diritto alla salute delle persone detenute trova il suo fondamento nell’articolo 32 della Costituzione, la cui previsione è ulteriormente rafforzata dall’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu), nella parte in cui si stabilisce il divieto di “trattamento inumano e degradante”.
È indiscutibile, tuttavia, che si verifichino frequentemente delle compressioni di tale diritto, non solo legate alle difficoltà di accesso alle cure, ma anche all’attuale situazione di sovraffollamento carcerario, che incide negativamente sulla dignità stessa della persona. Ne sono prova il crescente numero di suicidi, l’aumento di episodi di autolesionismo e di violenza, la diffusione di forme di depressione tra coloro che sono privati della libertà personale.
Gli Autori esaminano la mancata applicazione nelle carceri della legge 38 del 15 marzo 2010, che contiene “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore” e, fuori dai luoghi comuni, dimostrano che la limitazione del diritto alla salute dei reclusi e la conseguente vanificazione della funzione rieducativa della pena non sono legate solo “alla difficile condizione strutturale delle carceri, bensì più gravi conseguenze derivano dal disumano trattamento dei detenuti, in attesa di giudizio e non, tali da provocare vere e proprie patologie”.
Sottolineano, infine, come l’aspirazione ad un “carcere senza dolore” faccia parte “del volto umano e civile della pena”.
Enzo Quaratino
giornalista dell’ANSA